
Tutto scompare dietro i grandi del '300 e i poeti dell'età augustea, unici testimoni del meccanismo a orologeria.
Tre raffinati racconti… la scrittrice dimostra una non comune abilità nell’amplificare situazione di tensione, a fianco di un uso sapiente della lingua italiana, del tutto ritrovata nella sua ampiezza e musicalità…Cristina Rizzi, Viceversa, 1996
La prima cosa che colpisce in questo libro di racconti di Antonella Sbuelz è la scrittura: sicura, ricca (…) Poi, la capacità di intrecciare reale e surreale, il quotidiano con la fantasia. E con un fondo di caratterizzazione delle psicologie individuali non comune...Giovanni Lugaresi, Il Gazzettino, 13 aprile 1997
Tre racconti. Tre argomenti non usuali (…) che disegnano una simbiosi perfetta tra realtà e sogno, tra rigore e fantasia, tra ricordo e desiderio che fosse altrimenti…Gabriella Urbani, Avvenimenti, n.15, X, 23 aprile 1997
Sotto la superficie rassicurante di esistenze apparentemente normali, l’inquietudine di un’ultima verità da scoprire e da riportare a galla. Sopravvivendo. Tre piccoli gialli dell’anima, tre storie di ricerca personale, tre azzardi estremi di minimi amori…Mario Turello, Messaggero Veneto, 11 maggio 1997
Capire che cosa accade quando qualcosa scompagina esistenze che avevano certezze ben radicate. E raccontare come i personaggi reagiscono di fronte a questo imprevedibile detonatore…La Nuova Ferrara
A volte il buio dà strani appuntamenti.
L’ho sognata di nuovo, stanotte.
Di nuovo mi sono ubriacato, ma solo per poco, di lei.
Più vengo a scoprire che la sua vita è avvolta dal mistero, più la mia mente si accanisce a inventarle un viso e una figura, a costruirle tutt’attorno una vita densa di eventi, fitta dei più improbabili particolari. E intanto la mia, di vita, annaspa come ubriaca, freme e sbanda come quella di un moscerino intontito dai fumi del mosto. Sì, l’ho sognata di nuovo. Era curva, accoccolata nell’ombra, intenta a qualcosa che a me in quel momento sfuggiva, e io, avvicinandomi senza far rumore, ho visto d’un tratto la sua voce. Sì, non sentita, vista (…)
Allora ho urlato. Ho urlato il suo nome. Me ne sono riempito la bocca e i polmoni. E poi mi sono svegliato madido, spossato, maledicendo fra i denti i miei sogni ubriachi.
Infine, ciondolando ancora dal sonno – e inseguito dalla gatta che reclamava senza sosta il suo dannato latte mattutino – ho raggiunto con passi malfermi la cucina, e in cucina il ripiano a destra accanto al frigo, e sul ripiano la moca e la prima certezza del mattino nel barattolo di latta del caffè.
Sono arrivato a scuola con qualche minuto di ritardo, sperando che nei corridoi non ci fosse più nessuno (…) e ho raggiunto rapidamente la mia classe. La terza B.
Che era là, imperturbabile nell’attesa, chi in piedi chi seduto chi più o meno sdraiato sopra o sotto i banchi. Il mio ingresso nell’aula non ha apportato sostanziali modifiche a questo assetto da combattimento, tuttavia cinque o sei visi (…) si sono girati dalla mia parte e hanno scandito all’unisono: “Maestro, mica te li sei scordati ancora, eh, i ragni e il ramarro?”
Mi sono affrettato a sgombrare ogni dubbio, sollevando, a conferma della mia professionalità e della mia memoria, due scatole di cartone forate ai margini e sul coperchio. Allora è calato il silenzio: quello raro degli attimi importanti. Ho appoggiato i libri sulla cattedra e ho sgombrato la sedia da un pennarello azzurro, due puntine da disegno e una ninja di plastica arancione.
Infine mi sono seduto.
E …
“Il mondo di Eva”, “L’intervista”, “Villa degli orologi”: tre lunghi racconti che indagano il sottile confine fra sogno e realtà, fra passato e presente, fra quotidianità e irruzione dell’inatteso, accompagnando il lettore verso imprevedibili epiloghi.